Sabato 19 luglio 2012 / Motovelodromo
Apertura cancelli ore: 19.00 / inizio concerti ore: 21.00
Ci sono cose che ti arrivano dirette come un pugno in faccia, a primo ascolto, e altre che riesci ad apprezzare solo col tempo: Hemingway, per esempio, diceva che per gustare il vino buono bisogna sviluppare un certo palato, cioè non stiamo parlando di una facile coca-cola, di un pezzo di pop magnetico. Il problema è che quando arrivi a quel livello di “degustazione” non riesci più a smettere.
Parliamo di quell’ultimo capolavoro di disco di Bon Iver (‘’Bon Iver, Bon Iver’’) per farci un’idea: è ovvio che al primo ascolto l’orecchio può provare una specie di primordiale rifiuto di certi sound, ci sono i fiati, strumenti che hanno un sapore di vecchiaia per la musica che esce dal pop e si fa rock, però sembrano così perfettamente indispensabili, e così ogni nota di pianoforte, ogni giro di batteria, gli strumenti entrano a turno e sembra che tutti i pezzi siano nati esattamente così, ogni particolare sia stato studiato come se fosse il giorno della creazione, e tutto fosse naturalmente al proprio posto, quello giusto e quello sbagliato. Diciamo che tutto questo nell’immediato può risultare incomprensibile, e poi c’è quella voce di Justin Vernon, che non è più il minimalista di “For Emma, Forever Ago”, qui sta tirando su qualcosa di più corale dalle viscere, non è più l’uomo rinchiuso nella foresta per sfuggire il fantasma dell’amata, qui è veramente in gioco con tutto se stesso, a scartavetrare musica e parole, incastrare accordi, note, dettare il ritmo come un direttore d’orchestra, riarrangiare. È dura che ti piaccia subito, ma poi finisce per piacere in maniera così naturale che tu non puoi più scacciarlo da dentro: c’è qualcosa di magico, che ti possiede, e non sai spiegarti cosa diavolo sia, ma porta dipendenza, ci cadi dentro, è il mistero del suono, o delle parole, di quello che è detto e ciò che è sottinteso in silenzio. Siamo al livello di uno sguardo.
È questa la premessa del disco, che è anche una promessa per il live. A Ferrara non c’è il gran pienone (quasi), ma tutti sono lì a godere la bella attesa serale con la sensazione di stare per sentire qualcosa di epocale, il cantautore che ha fatto risvegliare Pitchfork dal torpore della radioheadite. Forse, si è detto, gli elogi erano troppi e spropositati, è solo un altro dei tanti cantautori con la barba, esponente di quello che si grida essere il folk-indie (o almeno così dicevano gruppi di persone sparute in mezzo alla folla), il folk indipendente, quello autentico; forse non si merita il successo che sta avendo, quello di critica, quello di pubblico addirittura, insomma è solo un tizio che ha la barba, che tira su qualche accordo disordinato, fa una bella melodia, e scrive una canzone d’amore mancato, e siamo tutti sensibili a certe cose, ai sentimenti buoni o cattivi, al gioco dei tira e molla, siamo tutti ammalati di romanticismo (in senso ottocentesco). Però, quando sul palco del Motovelodromo al Ferrara sotto le stelle sale Bon Iver (e dovremmo dire i Bon Iver) in formazione larga (sono in nove sul palco) e si inizia a intonare subito Perth con quella maledetta voce, quella maniera soffice che ha di scavarti la carne come un coltello, sotto il cielo aperto iniziano a tremarti le ginocchia. LEGGI LA RECESIONE COMPLETA DE L’INDIEPENDENTE
Setlist:
- Perth
- Minnesota, WI
- Michicant
- Towers
- Brackett, WI
- Beach Baby
- Hinnom, TX
- Wash
- Holocene
- Skinny Love
- Creature Fear
- re:Stacks
- Calgary
- Lison, OH
- Beth/Rest
Encore:
- The Wolves (Act I and II)
- For Emma